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Il 1989 segna in Polonia un momento di svolta epocale cui è seguita una serie di profonde trasformazioni politiche, sociali, economiche, culturali.
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In Polonia, così come in Italia, la critica letteraria è tradizionalmente considerata un settore a sé degli studi letterari. Essa non viene assimilata né alla teoria né alla storia della letteratura, ma è un insieme di testi volti a fornire commenti – in tempo reale, potremmo dire – sulle opere e sugli avvenimenti letterari più importanti. In virtù di tale accezione, la situazione dei critici si distingue da quella degli storici della letteratura, poiché i primi, a differenza dei secondi, possono prendere parte ai processi generativi dell’opera letteraria, giungendo talvolta a influenzarne la forma.
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Una delle manifestazioni più evidenti degli sconvolgimenti del periodo post-89 è stato il cambiamento del linguaggio pubblico.
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L’essere umano esiste in notevole misura attraverso il linguaggio. Il personaggio pubblico esiste attraverso il proprio linguaggio pubblico. Lech Wałęsa è una persona pubblica. I suoi discorsi vengono sottoposti ad analisi e interpretazioni, vengono deformati ed estrapolati dal contesto, vengono citati e utilizzati come parole d’ordine. I discorsi di una persona pubblica diventano da questa indipendenti e formano la sua immagine. Non si può dire neppure se si tratta di un’immagine vera o falsa. È con l’immagine e non con la persona che noi abbiamo a che fare.
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Dove si può godere di una buona pittura? In un museo, naturalmente. Dove si può assistere a un buon film? In una sala cinematografica, ovviamente (se si ha fortuna). Dove si può vedere un buon manifesto? No, non più per strada.
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Sulla copertina del suo quattordicesimo album Idée Fixe, pubblicato nel 1977, il cantante e polistrumentista polacco Czeslaw Niemen mise una citazione dal poema Ash Wednesday di T.S. Eliot: "Stili is the unspoken word, the Word unheard / The Word without a word, the Word within / The world and for the world".
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Bottoni di Zbigniew Herbert [tradotta per la prima volta in italiano in apertura di questo volume di «pl.it», n.d.r.] è sinora l'unico brano della letteratura polacca sul tema di Katyn che tocca la mia immaginazione. Come impostare un film su Katyn? Per molti motivi la tragedia degli ufficiali polacchi fino a oggi non ha trovato rispondenza né nella narrazione, né nella cinematografia. Se la Polonia Popolare ha, su questo fatto, presidiato e salvaguardato per cinquant'anni la menzogna, tuttavia il successivo decennio e mezzo di libertà avrebbe permesso di realizzare un film, così come sarebbero potute maturare opere letterarie anche prima, nell'ambito dell'emigrazione, là dove la lunga mano della censura sovietica non arrivava. Ciò nonostante .....
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Sono nato il 25 febbraio 1917: il giorno dell'abdicazione dello zar, quella che fu di fatto la rivoluzione che coinvolse l'intero paese e l'esercito, la vera rivoluzione di massa, la rivoluzione di febbraio. A volte a tavola i miei genitori mi stuzzicavano dicendo: "Questa rivoluzione ti sarà di impiccio".
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Nel ricercare la motivazione che ascriveva il fenomeno dell'animazione nella produzione cinematografica per ragazzi a posizione di privilegio, Bogumit Drozdowski, esperto della materia...
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Un polacco che arrivi a Roma, per la prima o l'ennesima volta, si espone sempre a una quantità enorme di emozioni e turbamenti. Perché succede questo? Perché proprio Roma ha un tale potere più di ogni altra città? Di certo non è così difficile rispondere a un simile interrogativo, basta ricorrere a un qualunque manuale di storia, o di storia della chiesa, o ancora sfogliare i libri che leggevamo da bambini o in gioventù, per renderci conto che questa città la conosciamo da sempre, che scorre nel nostro sangue come nessun'altra al mondo, che insomma è una parte del nostro stesso io, della nostra cultura e della nostra coscienza.
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Potrei dire che la mia Polonia inizia con il suono fatato della parola Est, ma dovrei correggermi subito dicendo: la mia Polonia comincia a ovest della "mia" Russia, quella terra di uomini e libri imparata ad amare a tredici anni.
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Se c’è un brano della letteratura polacca che, nel modo più grottesco e categorico, esprime l’essenza peggiore del polonocentrismo nella didattica polonistica, questo è Diario di Stefano Czarniecki di Witold Gombrowicz, il genio nato – non si direbbe proprio – oltre cent’anni fa (1904), ma il cui messaggio sembra più che mai fresco e attuale sulla scena culturale, sociale e, perché no?, politica polacca.
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Vorrei far precedere a queste riflessioni sulla formazione dell’identità nazionale polacca nella letteratura del passato una breve digressione metodologica e terminologica, oltre ad una definizione del concetto chiave di “sarmatismo”
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Per analizzare nel dettaglio questo argomento bisogna prendere in considerazione un materiale disseminato nell’arco di vari secoli. Gli inizi del fenomeno che stiamo affrontando datano al Quattrocento, e in ispecie alla principale opera della letteratura (e a un tempo della storiografia) polacca di quel secolo, gli Annales seu cronicae incliti Regni Poloniae di Jan Długosz, che nella narrazione storica giunge fino al 1480.
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In Polonia i concetti di postmodernismo e postmodernità sono da anni al centro di un acceso dibattito la cui portata oltrepassa l’ambito critico-letterario e chiama in causa il bisogno di ridefinire la collocazione della cultura polacca nella società contemporanea, di comprenderne il mutato (o piuttosto rinnovato) rapporto con il mondo occidentale, di interpretarne la specificità e indirizzarne il corso.
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Ricevetti un giorno una lettera da un sacerdote americano di origine polacca, che per la prima volta aveva visitato la Polonia. In nessun altro paese, mi scriveva, aveva mai incontrato così tanti diavoli e così tanti angeli.
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… Ovviamente la geografia non è così importante come l’immaginazione, non fosse altro perché è più spesso una trappola che non un rifugio. Nondimeno, però, queste due discipline, così distanti fra loro, sono legate da un nodo più forte della follia e della ragione messe insieme. Se non altro perché la forma più nobile del sognare a occhi aperti ha sempre come oggetto lo spazio. Il tempo conta solo per coloro i quali sperano che qualcosa cambi, cioè per gli stolti incorreggibili.
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Nel fatidico anno 2000, che doveva portarci in dote il micidiale millennium bug e catastrofi di ogni sorta, in quell’anno delle profezie andate a vuoto, è uscito in Polonia un libro sintomatico di un nuovo discorso sulla parte forse più sfuggente ed effimera del nostro continente: La mia Europa. Due saggi sull’Europa cosiddetta centrale di Jurij Andruchovyč e Andrzej Stasiuk.
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